CREARE - Un racconto su Gilgamesh

Foto di Egor Myznik su Unsplash


Buongiorno e bentornati sul blog! Oggi vi propongo una sfida creativa: scrivere un racconto lungo non più di una pagina di Word. Per questa prima sfida creativa, mi sono basata sul più famoso poema epico dei Sumeri, vale a dire la storia dell'eroe Gilgamesh e della sua ricerca dell'immortalità. Se non la conoscete e volete saperne di più, potete trovare qualche informazione qui.

Vi sfido a fare lo stesso e a condividere il vostro racconto! Potete sfruttare come me l'ambientazione sumera, se amate la Storia Antica, oppure utilizzare il tema della ricerca dell'immortalità. Scrivete nei commenti il link al vostro racconto e potremo parlarne insieme. Buon lavoro e buona lettura, spero che il mio piccolo esperimento vi piacerà!


«Vecchio, raccontami ancora.»

«Non ho parole per le tue orecchie, giovane vagabondo. La notte mi troverà sulle sponde del fiume, già si fa tardi. Torna a esercitarti con lo stilo. La tua tavoletta di argilla t’attende.»

«Vecchio, avrò tempo per questo. Tu hai narrato cose incredibili, io devo sapere del Signore delle Teste Nere…»

«Gilgamesh?»

Il viso del vecchio, fino a quel momento chiuso nelle sue rughe, si aprì in un sorriso. Il bambino riuscì a intravedere nei lineamenti di quella pelle bruciata dal sole un fantasma del giovane uomo che era stato, nonostante pochi denti restassero sulle gengive e gli occhi neri fossero velati dal velo che toglie la vista. Il sorriso sciolse in parte la sua tensione. Non aveva mai osato prima importunare un adulto e gli era servito ogni grammo di coraggio per avvicinare il vecchio e fargli le sue domande, ma l’impresa di colui che aveva sfidato la Morte gli era entrata nel sangue.

«Hai udito la storia così come viene narrata. Quali domande ti turbano?»

«Il re ha cercato l’immortalità…»

«Ah!»

La singola sillaba, il tono in cui venne pronunciata, fecero avvampare il bambino. Si sentì scoperto, nudo di fronte a quegli occhi quasi ciechi. Egli conosceva il motivo della sua curiosità.

«Figlio, le Teste Nere hanno vissuto sotto la protezione degli Dei. Quei tempi sono trascorsi e ora solo la polvere ci attende. – mormorò il vecchio, scavando nel terreno con la base del suo bastone – I prodigi di Gilgamesh sono perduti, affogati nella notte di giorni obliati, così come la gloria di Uruk. L’Uomo è oggi un essere fragile, cui non sono concesse imprese equiparabili a quelle divine.»

«Egli trovò la pianta che dona la vita eterna.»

«E il serpente gliela prese. – sospirò il vecchio – Nemmeno Gilgamesh poté sottrarsi al destino dell’Uomo.»

«Solo perché si distrasse!» replicò il bambino, la cui voce si tese in uno stridio frustrato che lo imbarazzò e gli fece provare un moto d’odio per il vecchio. Egli lo fissò per un attimo in silenzio, annuendo, le braccia allacciate al bastone appoggiato al petto.

«Io capisco. Tu hai perduto il tuo Enkidu.» disse il vecchio.

Il bambino avvertì un tremore alle labbra, per un attimo la vista si offuscò. Stoico, si morse l’interno delle guance e stette immobile, rigido. Era accaduto al fratello più grande, il suo secondo padre. Il demone della malattia era calato su di lui e niente aveva potuto sottrarlo alle sue grinfie.

«Se avessi avuto la pianta, sarebbe vivo.» mormorò, rabbioso.

«Ci trasformiamo come le stelle decidono, giovane figlio. Quale dono sarebbe stato per lui la vita eterna? Vorresti, tu, vivere per sempre? Vedere il mondo trasformarsi e proseguire lungo la via del tempo, mentre tu rimani prigioniero dei tuoi ricordi e dei lutti che non ti è concesso impedire? – disse il vecchio, con voce bassa e remota, paurosa – Figlio, sei giovane. Un giorno capirai che tutto deve lasciare il mondo così come vi è giunto. Un giorno capirai il senso della morte e il tuo desiderio della pianta di Gilgamesh sarà estinto.»

«Lo dici perché sei vecchio e non ti è più cara la vita! Ma vedrai…vedrai! Farò in modo di trovare la verità nel mito che racconti. Un giorno vincerò la Morte!»

Fuggì e il vecchio non fece nulla per fermarlo. Lo guardò sollevare polvere con i sandali lungo la via, i gomiti ossuti che si facevano largo con violenza per dare sfogo alla sofferenza. Il vecchio emise un lungo sospiro dalle narici. Pochi comprendevano il senso del suo narrare, lo sapeva. Pure, sperava sempre che la storia di Gilgamesh fosse d’esempio e ciclicamente tornava nella Terra tra i Due Fiumi, lasciando i confini del mondo, per narrarla a Uomini che trovava sempre diversi, sempre più distanti. La Morte, però, restava il loro grande nemico. Il grande terrore. Buffo che per lui fosse l’opposto.

Ora, era tempo di tornare. Sua moglie attendeva. Utnapishtim, l’immortale uomo risparmiato dal Diluvio, cadenzò il passo col bastone seguendo la scia del sole, mentre il giorno bruciava i suoi ultimi minuti.

Commenti